A parte gli indiani, stranamente assenti tutti gli ingredienti tradizionali del western sono infatti elencati nei film: l'agguato, la cavalcata - inseguimento, il guado, il tiro al bersaglio contro la lattina vuota, il duello nel centro del villaggio col campanile dietro, il sacrificio della giovane prostituta, la corruzione dello sceriffo, l'evasione, la forca, la carica del bestiame, il giocatore d'azzardo con il collo di pelliccia, e si potrebbe continuare all'infinito.

Non solo: la sceneggiatura (costruita anch'essa alla perfezione, perché non si tratta di una serie di situazioni slegate) concorre alla riesumazione di quelle situazioni psicologiche (l'amicizia virile, l'eroismo solitario, la condanna ingiusta, lo sradicamento dalla terra ecc. ) sulle quali il genere si è lungamente, e gloriosamente, costruito.. Eppure. Eppure, SILVERADO rimane nella memoria come una serie patinata di belle situazioni, inserite in paesaggi di dovere. Indovinate, per i ricordi che suscitano, e non solo nei topi di cineteca. Commoventi, forse, per chi rimpiange John Ford. Ma puramente evocative.

No, SILVERADO non risuscita il western. Per farlo, ammesso che sia possibile e auspicabile, occorrerebbe forzarne gli schemi. Per introdurre nuove interpretazioni, per giustificare nuove letture: per, tanto per intenderci, ripercorrere la strada di un Sergio Leone o, ancor meglio, dell'Altman di I COMPARI. Qui siamo alle belle figurine: graziose ed un filo tediose.